Onorevoli Colleghi! - Nonostante la disciplina in materia di tutela dei lavoratori sia particolarmente avanzata nel nostro Paese, l'esperienza quotidiana degli ultimi anni sta facendo emergere la rilevanza del mobbing, fenomeno caratterizzato da una serie di atti e di comportamenti vessatori nei luoghi di lavoro che, pur non essendo penalmente perseguibili, incidono in misura determinante sulle condizioni fisiche e psicologiche dei lavoratori.
      Si tratta di situazioni vessatorie, attentamente studiate dalla sociologia e dalla psicologia del lavoro, derivanti anche dai profondi mutamenti sopravvenuti nel mondo del lavoro (flessibilità, intensificazione dei ritmi, competizione esasperata, inserimento di sempre maggiori elementi di contrattazione individuale rispetto a quella collettiva eccetera) e che rappresentano attualmente uno dei problemi più gravi nella vita professionale delle persone.
      La letteratura anglosassone ha dedicato particolare attenzione al tema definendo con l'espressione «mobbing» tutti quegli atti e comportamenti assunti prevalentemente dai datori di lavoro, ma in qualche caso anche dai soggetti sovraordinati o addirittura da colleghi pari grado che, traducendosi in atteggiamenti vessatori posti in essere con evidente determinazione, arrecano danni rilevanti alla condizione psico-fisica dei lavoratori che li subiscono. I danni, che incidono sulla salute e sull'autostima del lavoratore, possono scatenare anche condizioni di grave depressione; in Svezia si stima che addirittura il 15 per cento dei suicidi è attribuibile al mobbing.
      La «sindrome da mobbing» è un male sociale sempre esistito, anche se non ha

 

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nulla a che fare con il fenomeno già noto del cosiddetto «fantozzismo», in quanto spesso colpisce lavoratori preparati e capaci, ma che nonostante ciò divengono vittime di discriminazioni e di terrorismo psicologico sul luogo di lavoro.
      Tuttavia, è solo da poco tempo che il mobbing si è posto all'attenzione di sociologi, psicologi del lavoro, psichiatri e magistratura, evidenziando l'esigenza di proteggere la persona sul luogo di lavoro sotto il profilo sociale, etico e morale.
      È importante avere presenti le legislazioni che alcuni Paesi europei hanno adottato per contrastare il fenomeno.
      La Svezia è stato il primo Paese europeo a dotarsi di una legge nazionale sul mobbing, entrata in vigore il 31 marzo 1994, recante misure contro ogni forma di «persecuzione psicologica» negli ambienti di lavoro, integrata successivamente, nel 1997, con nuovi atti dispositivi relativi alle misure da adottare contro le forme di persecuzione psicologica in ambito lavorativo.
      La Norvegia ha introdotto, fin dal 1977, una specifica previsione di tutela contro il mobbing all'interno della legge sulla tutela dell'ambiente di lavoro.
      La Francia si è dotata di una delle leggi più organiche in materia di mobbing, dal 2002 (lutte contre le harcèlement moral au travail), disponendo esplicitamente che: «Nessun lavoratore deve subire atti ripetuti di molestia morale che hanno per oggetto o per effetto un degrado delle condizioni di lavoro suscettibili di ledere i diritti e la dignità del lavoratore, di alterare la sua salute fisica o mentale o di compromettere il suo avvenire professionale.
      Nessun lavoratore può essere sanzionato, licenziato o essere oggetto di misure discriminatorie, dirette o indirette, in particolare modo in materia di remunerazione, di formazione, di riclassificazione, di qualificazione o classificazione, di promozione professionale, di mutamento o rinnovazione del contratto, per aver subito, o rifiutato di subire, i comportamenti definiti nel comma precedente o per aver testimoniato su tali comportamenti o averli riferiti».
      Con questa legge del 17 gennaio 2002, la Francia è, dopo la Svezia, il secondo Paese comunitario ad essersi dotato di uno strumento legislativo per la lotta contro il mobbing.
      Le due peculiarità della legge francese riguardano: l'introduzione dell'istituto dell'inversione dell'onere della prova - per cui è il soggetto accusato di aver posto in essere azioni dirette o indirette di violenza morale in ambito lavorativo a dover dimostrare l'estraneità da qualsiasi forma di responsabilità - e l'introduzione di un'apposita figura di reato, con l'inserimento nel codice penale francese di una nuova sezione intitolata all'harcèlement moral, contenente una norma che sanziona espressamente «il fatto di molestare gli altri attraverso comportamenti ripetuti aventi per oggetto o per effetto una degradazione delle condizioni di lavoro suscettibili di ledere i suoi diritti e la sua dignità, di alterare la sua salute fisica o mentale o di compromettere il suo avvenire professionale», con la pena della reclusione fino a un anno o della multa di 15.000 euro.
      Anche il Belgio ha regolamentato il fenomeno con legge (Loi relative à la protection contre le violence et le harcèlement moral au sexuel au travail, dell'11 giugno 2002), che prevede l'obbligo per il datore di lavoro di designare, in accordo con i rappresentanti dei lavoratori, un consigliere per la prevenzione con specifiche competenze psico-sociali in particolare riferite all'ambiente lavorativo. Già da alcuni anni poi, grazie all'azione svolta dal sindacato, si è costituita presso i servizi pubblici per la prevenzione e protezione sul lavoro una commissione «d'avviso» composta da rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, con lo scopo di offrire ai lavoratori vittime del mobbing un'assistenza al di fuori della realtà lavorativa.
      In Spagna è assente una disciplina specifica sul mobbing (tradotto con il termine acoso moral), ma il dibattito sull'opportunità di un intervento legislativo è fervido, come si desume dalla presenza al Congreso de los Deputatos, e nei vari
 

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parlamenti regionali, di diverse proposte di legge di regolamentazione normativa della fattispecie, nonché di modifica della legge in materia di salute e sicurezza, in maniera tale da includere la prevenzione dell'acoso moral tra le obbligazioni del datore di lavoro.

      In Germania, pur non essendoci una legge specifica, vi sono segnali importanti come l'accordo firmato tra il sindacato e la Volkswagen, fin dal 1996, con l'obiettivo di prevenire molestie sessuali, mobbing e ogni forma di discriminazione e di creare un clima di lavoro positivo basato sulla reciproca collaborazione, e l'accordo del 1988 per contrastare il mobbing nell'area del pubblico impiego.
      Anche nel diritto austriaco si rinviene una esplicita menzione del mobbing, all'interno del piano d'azione per la parità uomo-donna approvato il 16 maggio 1998, dove si ravvisa che «tra i comportamenti che ledono la dignità delle donne e degli uomini nel luogo di lavoro vanno annoverati in particolare le espressioni denigratorie, il mobbing e la molestia sessuale. Le collaboratrici devono essere edotte sulle possibilità giuridiche di tutela dalle molestie sessuali».
      Inoltre, vanno ricordate le numerose prese di posizione a livello internazionale per contrastare il fenomeno, in particolare da parte delle organizzazioni specializzate dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), come l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e l'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) che hanno promosso azioni contro la violenza sul luogo di lavoro. Nel corso della «Conferenza internazionale sul trauma sul luogo di lavoro» tenutasi l'8 e il 9 novembre 2000 a Johannesburg, intitolata «La violenza sul lavoro: la minaccia globale», è stato riconosciuto il grande impatto sul lavoro della violenza psicologica, cui ricondurre diversi atti e comportamenti, tra cui il mobbing e il bullyng.
      Nel settembre 2001, il Parlamento europeo, attraverso una specifica risoluzione sul mobbing sul posto di lavoro (2001/2339(INI)), ha evidenziato la necessità per gli Stati membri di approfondire lo studio del fenomeno, al fine di pervenire ad una comune definizione della fattispecie del mobbing esortando gli Stati membri, le parti sociali e le istituzioni comunitarie a delineare un programma d'azione per contrastarlo. Dell'impegno comunitario si trova traccia già nella decisione n. 2003/578/CE del Consiglio, del 22 luglio 2003, alla quale sono seguite altre decisioni in materia, fino alla decisione n. 2005/600/CE del Consiglio, del 12 luglio 2005 (le cui disposizioni sono state confermate anche dalle successive decisioni) sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione, nella quale si sollecitano gli Stati membri a promuovere e ad adottare misure atte a combattere le discriminazioni sul posto di lavoro, nell'ottica di una complessiva attività di promozione di coesione sociale.
      L'Italia, a differenza di altri Paesi europei che da tempo conoscono il fenomeno e che hanno approntato tutele specifiche per farvi fronte, non si è ancora dotata di una legislazione specifica in materia, nonostante risulti da recenti ricerche che il fenomeno delle violenze psicologiche nei luoghi di lavoro sia esteso in tutti i settori produttivi e interessi circa 1,5 milioni di lavoratori italiani, cifra che, tenendo conto dei familiari delle vittime, porta a circa 3 milioni di persone coinvolte dal mobbing.
      Hanno contribuito all'emersione del fenomeno alcuni interventi del sindacato, mentre alcune decisioni giurisprudenziali (a partire dalla sentenza della Corte di cassazione n. 8438 del 4 maggio 2004 e dalla sentenza della Corte costituzionale n. 359 del 19 dicembre 2003) hanno aiutato a definire più rigorosamente il fenomeno e conseguentemente a rinvenire in concreto l'atteggiarsi di nuove forme di vessazione nei luoghi di lavoro, diverse dal passato.
      Anche dalla considerazione di ciò muove la presente proposta di legge, che mira a colmare alcune lacune del nostro ordinamento (evitando sovrapposizioni con le norme vigenti e che già vengono utilizzate per fronteggiare il fenomeno), accogliendo alcune previsioni normative proprie della legislazione francese - l'inversione del
 

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l'onere della prova in tema di mobbing - e alcuni degli orientamenti comunitari in materia, in modo da rafforzare la portata dell'intervento legislativo.
      Scopo della proposta di legge, che si compone di sette articoli, è quello di integrare la normativa vigente in tema di tutela dei lavoratori, con riguardo alla tutela della personalità morale e al patrimonio professionale del lavoratore, oltre che alla sua integrità psico-fisica strettamente intesa, mediante la previsione di ulteriori e più efficaci strumenti per combattere il fenomeno del mobbing, attraverso:

          l'introduzione nel nostro ordinamento di chiari indicatori del fenomeno e della definizione di mobbing (articoli 1 e 2);

          la previsione di una accentuata attività di prevenzione, fondamentale per intervenire sulle cause che originano il fenomeno di mobbing, anche mediante una più rigorosa regolamentazione degli obblighi e dei doveri a carico dei datori di lavoro, in ordine alle iniziative dirette a prevenire il verificarsi di tali atti e comportamenti, e la previsione di misure volte a fornire ai lavoratori tutte le informazioni relative all'organizzazione del lavoro, spesso causa di conflitti palesi o nascosti o latenti (articolo 3);

          il rafforzamento delle tutele in favore delle vittime, mediante l'importante previsione dell'inversione dell'onere della prova ai fini dell'azione giudiziaria, oggi a carico delle vittime e che rappresenta una delle difficoltà maggiori in cui si imbattono i lavoratori oggetto delle azioni mobbizzanti (articolo 4);

          la previsione di specifiche sanzioni e della nullità degli atti di ritorsione che possono condizionare l'iniziativa di tutela del lavoratore vittima della violenza psicologica, fino al ripristino delle situazioni professionali colpite da azioni di mobbing (articolo 5);

          l'individuazione di precise responsabilità disciplinari e di adeguate azioni di tutela giudiziale (tra cui anche il ricorso al giudice affinché emani provvedimenti d'urgenza, ai sensi dell'articolo 700 del codice di procedura civile, per fare cessare atti di persecuzione psicologica, nelle more della decisione di merito), compresa la previsione del ricorso al tentativo di conciliazione (articolo 6);

          la possibilità per le associazioni portatrici di interessi diffusi, rispondenti a criteri definiti, di poter agire in giudizio per chiedere controlli sui luoghi di lavoro e denunciare situazioni di bossing (articolo 6);

          la definizione di criteri per il risarcimento del danno che consegue dalla condotta vessatoria, sia mediante l'indicazione degli elementi di cui il giudice deve tenere conto ai fini della liquidazione del danno, sia mediante l'indicazione di un minimo e di un massimo (da 10.000 euro a 90.000 euro), atta a garantire un'equa forma di ristoro (articolo 7);

          la previsione di misure di riparazione specifica, a carico del soccombente, in sostegno delle vittime del mobbing (articolo 7).

      Nel proporre nuove norme a tutela delle vittime del mobbing, vi è alla base la convinzione che un efficace intervento legislativo contribuisca a far crescere la consapevolezza dell'esistenza del fenomeno e che, intervenendo sulle sue cause, si possa ridurre la naturale propensione del lavoratore «mobbizzato» ad autocolpevolizzarsi (inducendosi la cosiddetta «mentalità da capro espiatorio») e che tali norme possano operare da volano di prevenzione, con efficacia dissuasiva per la categoria, peraltro affollatissima, dei cosiddetti «mobber potenziali».

 

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